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Cycling
Piccoli Bikepackers in Mongolia

Quando a Marzo 2023 abbiamo iniziato a pensare alla prossima avventura in sella alle nostre gravel, il primo pensiero è stato quello di voler andare in un posto nuovo, tutto da esplorare, e che ci facesse sentire completamente immersi nella natura più selvaggia.

Quando a Marzo 2023 abbiamo iniziato a pensare alla prossima avventura in sella alle nostre gravel, il primo pensiero è stato quello di voler andare in un posto nuovo, tutto da esplorare, e che ci facesse sentire completamente immersi nella natura più selvaggia. Bè... ora, a posteriori, ci sentiamo di dire che con la Mongolia ci abbiamo azzeccato alla grande: le aspettative di infinite e tortuose strade sterrate, la libertà di campeggiare ovunque e la cordialità della gente del posto rendono questa terra un vero paradiso remoto per il bikepacking, e non solo. 


Il 14 luglio partiamo alla volta della capitale, Ulaanbataar. Questa volta si tratta di un viaggio diverso, un po’ speciale, io e Pietro infatti abbiamo appena vissuto 6 mesi in due continenti diversi e questa avventura combacia con i nostri primi giorni di nuovo insieme: l’entusiasmo si sente ancora più forte e siamo troppo felici di essere tornati, insieme, a fare quello che più ci piace ovvero andare alla scoperta di luoghi remoti, nuove culture, vivere emozioni indimenticabili e conoscere nuove persone, sempre in sella a Bianca e Teresa, le nostre mitiche gravel.

Difficilmente scorderemo la sensazione di piccolezza che proviamo mentre, ancora in volo, sorvoliamo le terre piatte e desolate della Mongolia, l´orizzonte a perdita d’occhio e l’assenza umana, d’altronde la Mongolia è tra i paesi meno densamente popolati al mondo, seconda solo alla Groenlandia.

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Una volta raggiunta Ulaanbaatar, prendiamo un transfer direzione Tsetserleg, città di poco più di 15.000 abitanti nella provincia dell’Arkhangai, a circa 600km verso ovest dalla capitale, che è spesso il punto di partenza per le più isolate avventure in 4x4, moto o bici. A Tsetserleg veniamo accolti da Murray, un 50enne australiano originario di Sydney, proprietario di Fairfield, una guesthhouse e bakery molto accogliente in centro città. Murray si è trasferito a Tsetserleg ben 15 anni fa con la nobile ambizione di riuscire a dare lavoro a più persone locali possibili e lanciare un turismo sostenibile e consapevole: oggi Fairfield offre lavoro ad oltre 20 giovani mongoli e ospita migliaia di turisti ogni anno. Oltre ad essere il gestore di Fairfield, Murray è anche un grandissimo esperto della regione dell’Arkhangai, e non si risparmia con nessun avventuriero di passaggio nel condividere preziosi consigli e suggerimenti. Cosi, dopo una lunga chiacchierata con Murray sull’itinerario e un giorno di preparativi, dopo un’abbondante colazione , siamo finalmente pronti a partire. Direzione: traversata dei Monti Khangai.

Il Khangai è una regione montuosa della Mongolia, nota per la vastità dei suoi paesaggi e per il suo clima molto rigido. In inverno infatti, le temperature in questa zona scendono fino a -40°C e l'intero paesaggio è quasi completamente ghiacciato. Ciò contribuisce a rendere le steppe erbose così verdi anche in estate. Per questo motivo, solamente in piena estate, da luglio a settembre, è possibile percorrere l´itinerario. Decidiamo infatti di viaggiare attraverso i Khangai durante le ultime due settimane di luglio: le temperature variano dai 25 gradi di giorno ai 10 gradi di notte, le giornate sono solitamente soleggiate ma spesso caratterizzate da forti acquazzoni nel pomeriggio e durante la notte.

Viviamo con stupore continuo nei nostri occhi: tutto così immobile, ma allo stesso tempo estremamente vivo. Passiamo intere giornate a pedalare senza incontrare nessuno se non pascoli di yak, pecore, capre e cavalli. Iniziamo a rimanere soli con i nostri pensieri e le nostre debolezze, senza paura, ma con un grande ed immenso senso di pace, serenità, e quietezza nei nostri cuori.

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La maggior parte del territorio mongolo è di proprietà pubblica ed è abitata, oltre che dai pascoli, da famiglie di pastori nomadi che vivono nelle ger, ovvero delle tende, generalmente mobili, a pianta circolare, il cui scheletro è interamente in legno, e che sono il più delle volte completamente autosufficienti grazie ad un pannello solare e ad un'antenna parabolica. Insomma, se dall’esterno possono sembrare delle umili tende bianche, al loro interno si trovano inaspettatamente molti comfort come la lavatrice, il frigo/ freezer, la tv e ovviamente una confortevole stufa a legna. Su consiglio di Murray, ogni notte montiamo la nostra tenda vicino ad una ger, non senza per esserci presentati ed aver interagito con la famiglia che la abita. Nonostante la comunicazione risulti particolarmente difficoltosa, creativi gesti e mimi, ma soprattutto, l’utilizzo di semplici frasi, spesso mal tradotte da Google Translate, ci permettono di conoscere a fondo le usanze, la cultura e la quotidianeità di un popolo cosi distante dalla civiltà a noi nota. 

Più o meno ogni sera quindi decidiamo di fermarci vicino ad una ger, ed ogni singola volta, dopo esserci presentati e aver chiesto il permesso di montare la tenda all’interno del loro terreno, veniamo invitati ad entrare nelle loro tende a bere latte e vodka, e a mangiare formaggio fermentato fatto con latte di yak (Aaruul), yogurt, burro e, tanta, tanta carne... tutto rigorosamente km0 e “fatto in casa” da loro. Questi momenti di convivialità vengono resi ancora più speciali dai sorrisi e dallo stupore dei mongoli, molti dei quali ci confidano che è la prima volta in vita loro che vedono turisti in quelle zone. Avere la possibilità di interagire cosi a fondo con le persone locali e poter vivere da vicino tutte le loro tradizioni ed abitudini ci permette di entrare nel vivo di quest’esperienza e ci ricorda quanto queste avventure valgano davvero la pena di essere vissute. 

Solo una notte decidiamo di non dormire vicino ad una ger, è il giorno in cui ci fermiamo in un piccolo villaggio. Lungo il nostro percorso attraversiamo in tutto tre villaggi ed ognuno di essi ci lascia piuttosto basiti: sono desertici, a mala pena si trova un minimarket per fare rifornimento di  cibo e acqua, di un ristorante o bar neanche l’ombra, per non parlare di guest house, il niente più totale. Ogni volta la stessa scena mentre ci avviciniamo ai villaggi: noi entusiasti di tornare nella civiltà e bere finalmente acqua fresca o, ancor meglio, una coca ghiacciata, e invece veniamo catapultati in una realtà piuttosto triste, desolata e trasandata, senza alcun servizio, ed il più delle volte completamente allagata a causa delle piogge torrenziali che hanno preceduto il nostro arrivo. Un aspetto del nostro viaggio che ci rattrista, ma allo stesso tempo ci fa apprezzare ancor di più i paesaggi meravigliosi che attraversiamo quotidianamente in sella alle nostre biciclette e che caratterizzano la Mongolia.

Rientrati a Tsetserleg, come alla fine di ogni avventura, svanito l’entusiasmo della prima doccia dopo diversi giorni, la tristezza bussa alla porta della nostra stanza a Fairfield. E’ la numero 8. Pulita, confortevole, i letti sono comodi, ma la voglia di ritornare li fuori, in mezzo al nulla è forte. Prendiamo la cartina e iniziamo a ragionare sulle potenziali destinazioni: abbiamo 3 giorni prima di dover rientrare a Ulaanbaatar. Siamo sconfortati, in parte contenti per quanto appena vissuto, in parte tristi perché ci riavviciniamo alla quotidianità. Lontano dagli animali, lontano dalla natura selvaggia, costretti alla routine, nella civiltà.

Eppure, considerando le varie opzioni offerte dalla regione dell’Arkhangai, scopriamo di essere nel posto giusto al momento giusto. Sta per iniziare il 100° anniversario della regione, definito da Murray come un “Nadaam on steroids”, ovvero la tipica festa tradizionale mongola, ma questa volta all´ennesima potenza. E così è stato, due giorni di festeggiamenti incessanti: corse di cavalli, tiro con l´arco, lotta, danze, aquile, cammelli, musica, infinito cibo, principalmente carne cotta in qualsiasi modo immaginabile, smoothies e vodka. Una meravigliosa occasione per riunire in uno sperduto angolo di paradiso nascosto tra due montagne centinaia di abitanti della regione e non, che, vestiti a nozze per l’occasione si ritrovano con vecchi amici e parenti trasferitisi in citta apposta per l’evento dell’anno, nonostante le circa 8 ore di auto che separano Tsetserleg da Ulaanbaatar. E poi ci siamo noi, pantaloncini corti, sandali e cappello alla Indiana Jones. Di sicuro non passiamo inosservati, ma la felicità della gente per la festa non distoglie la loro attenzione dalle attività offerte. Siamo contenti, ci sentiamo parte di un gioioso popolo riunito dall´amore per la propria terra.

E‘ ora di ripartire, tornare a Ulaanbaatar, visitare velocemente la città e rientrare a casa. A questo punto è d´obbligo per noi menzionare Bata, un signore mongolo sulla sessantina che abita da 30 anni a Chicago, e che non appena ci ha visti in sella alle nostre biciclette lungo il percorso, mentre rientravamo verso Tsetserleg, si è catapultato per salutarci e offrirci la consueta ospitalità locale, passiamo insieme a lui gli ultimi giorni in Mongolia, giorni bellissimi passati a raccontarci storie di vita, di viaggi, della sua infanzia in Mongolia, “altri tempi” dice, e della sua nuova vita negli Stati Uniti... una vera e propria avventura anche la sua.

Impacchettate Bianca e Teresa, Bata ci accompagna in aeroporto. Stanchi ma felici ci teniamo per mano prima di addormentarci in aereo, ci guardiamo e i nostri occhi dicono la stessa cosa: “non vedo l´ora di ripartire”. Siamo giunti al termine del nostro viaggio alla scoperta della Mongolia, attraverso i Monti Khangai. Da un lato sembrano passati mesi per la quantità di emozioni ed esperienze vissute, dall’altro invece è stato tutto fin troppo veloce e ci lascia un immenso desiderio di continuare a sognare, vivere e scoprire terre così lontane e praticamente dimenticate. 

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