È il 16 Aprile 2021, i talebani conquistano Kabul. L’Afghanistan, dopo 20 anni di protezione da parte della Nato torna ad essere un emirato islamico.
L’apparente equilibrio geopolitico del medio oriente si sbriciola come un castello di sabbia e con lui, in piccolo, si sbriciola il nostro sogno di percorrere la Pamir Highway in sella alle nostre biciclette Gravel: Bianca e Teresa.
Il desiderio di tornare a viaggiare lontano è forte.
La pandemia ci ha tenuti in casa per tanti mesi e troppi sono stati i sogni andati in fumo per l’incremento dei casi Covid.
Bisogna trovare un’alternativa, una nuova meta, un nuovo percorso che possa soddisfare le aspettative ormai vive della Pamir.
Sono i primi mesi del 2022, la pandemia non sembra voler fermare la sua evoluzione, ma fortunatamente grazie ai vaccini e a un sistema sanitario ormai preparato alla gestione dei nuovi ricoveri, la luce in fondo al tunnel sembra brillare più forte che mai rendendo reali le possibilità di poter viaggiare durante l’estate.
È una mattina d’inverno quando riceviamo un sms da Tommi, compagno di tante avventure in sella: “India, Ladakh. Nuova strada aperta nel 2019 nella Valle dello Zanskar.
Da Leh a Lingshed, Padum e poi lungo lo Zanskar fino alla Manali - Leh Highway”. Ci alziamo di sobbalzo, interessati ed incuriositi.
Il Ladakh, da tutti conosciuto come una delle zone più affascinanti del pianeta per i trekking è da oggi percorribile anche in 4x4, in moto, ma soprattutto, in bicicletta!
Inizia così il nostro viaggio alla scoperta del Ladakh in sella a Bianca e Teresa. Jullay!
La sveglia è impostata per le 7:00, neanche a dirlo siamo svegli da almeno un’ora.
Le ultime settimane sono state piuttosto intense: tra la preparazione delle biciclette, l’incognita del percorso, i dubbi sull’attrezzatura, la scelta dell’abbigliamento e ovviamente come ciliegina sulla torta la solita ansia di un viaggio intercontinentale con tre scali e le bici al seguito.
È inizio luglio e Malpensa non è particolarmente affollata, prese le carte d’imbarco e lasciato Bianca e Teresa, adeguatamente inscatolate, ai bagagli fuori misura, entriamo al gate e come d’incanto, come fossimo saltati su una macchina del tempo veniamo catapultati dall’altra parte del mondo. New Delhi, India.
A Delhi delle biciclette nessuna traccia.
L’incubo di ogni ciclista in viaggio si è avverato.
Le biciclette non sono arrivate a Delhi, aeroporto dal quale avremmo un aereo per Leh tra appena quattro ore.
A conferma del luogo comune riguardo la disorganizzazione indiana, tra urla, gesta, fogli di carta con scritte incomprensibili da compilare e diversi passaggi di grado per arrivare al “boss” del reparto bagagli smarriti, finalmente ci sembra capire che le biciclette verranno imbarcate sul volo successivo da Doha a Delhi. Ovviamente la notizia ci solleva.
Tuttavia realizziamo che riusciamo a prendere l’ultimo volo di giornata per Leh esclusivamente se tutto fila liscio.
Che ansia! Sono le 8:40 di domenica 3 luglio, il volo Qatar Airways da Doha è atterrato.
I bagagli sono stati sbarcati tutti, ma di Bianca e Teresa ancora non c’è traccia.
Con atteggiamento cauto e rilassato l’addetto dell’aeroporto sembra non preoccuparsi della nostra necessità di proseguire il viaggio.
Iniziamo ad innervosirci, quando finalmente, segnalandogli con insistenza il nostro volo imminente, fa arrivare, come d’incanto, i due scatoloni nella hall degli arrivi. Nei 45°C di Delhi iniziamo a correre instancabili verso il T3 trasportando le biciclette inscatolate sul carrello aeroportuale.
Mai prima di oggi ci era capitato di entrare in un aeroporto e, come nei film, urlare: “Due biglietti sola andata per il prossimo volo”.
Nel nostro caso, il prossimo volo è appunto per Leh, e decolla tra meno di un’ora (nei film non viene sottolineato adeguatamente, ma possiamo assicurarvi che il costo di due biglietti acquistati al desk in aeroporto non passa proprio inosservato sul budget di una vacanza).
“Beep! Beep! Jullay, jullay!” Improvvisamente ci ritroviamo negli anni ’50, quando gli aeroporti non avevano neanche il rullo trasportatore per il ritiro bagagli.
Siamo arrivati a Leh, una cittadina a 3.500m di quota, di 30.000 abitanti, nel cuore dell’Himalaya, nonchè capitale del territorio del Ladakh.
Caratterizzata da incantevoli monasteri buddisti e un bazar calorosamente accogliente è la meta ideale per entrare in punta di piedi in una cultura e una popolazione tanto affascinante quanto diversa dalla nostra.
La popolazione è indiana ma l’influenza dei vicini nepalesi e tibetani è molto forte.
Per anni l’unico modo per addentrarsi nelle suggestive valli del Ladakh è stato a piedi supportati da asini o cavalli.
Nel 1964 sono iniziati i lavori per la costruzione di una strada che potesse collegare, esclusivamente durante i mesi estivi, il Ladakh al resto del mondo: la Manali – Leh Highway. 473 km di strada montana lungo i più alti passi motorizzabili al mondo.
Una vera e propria impresa edile durata oltre 20 anni e che ancora oggi presenta asperità in quanto d’inverno viene messa a dura prova dalle glaciali temperature della regione.
Nel 2019, con l’obbiettivo di collegare i villaggi più remoti alla civiltà, è stata aperta un’altra strada che percorre quella che per molti è considerata la valle più affascinante del Ladakh: la Valle dello Zanskar.
Da Leh, infatti, è ora possibile raggiungere lo Zanskar attraversando le più suggestive montagne dello Jammu e Kashmir, i monasteri buddisti più antichi del mondo e i più autentici villaggi dell’India.
Uno fra questi è Lingshed, un piccolo villaggio isolato tra le montagne che ospita regolarmente, nel suo meraviglioso monastero, il Dalai Lama. 450km ancora tutti da scoprire: un percorso completamente sterrato che sale e scende per ripidi tratti dai quattro passi oltre i 5.000m slm che lo caratterizzano.
Arrivati a Leh, le priorità sono acclimatarsi e preparare le biciclette per la partenza.
E per questo abbiamo in tutto un solo pomeriggio.
Dopo esserci rifocillati alla Smanla Guest House ci inoltriamo nel bazar per reperire le ultime cose prima di partire: cambio soldi, bombola del gas e un po’ di cibo.
Bisogna dire tuttavia che uno spuntino pomeridiano si è trasformato di un abbuffata colossale non appena abbiamo scoperto che i Momos, ravioli al vapore da noi più comunemente conosciuti come Dumplings, sono un piatto tipico del Ladakh e che questi vengono appunto venduti in ogni angolo del bazar.
Da qui in avanti, la ricerca dei Momos è all'ordine del giorno.
Viaggiare in India può ahimè riservare sorprese spiacevoli dovute principalmente al cibo e all’acqua.
Partire per un viaggio in bicicletta di circa 750km costantemente intorno ai 4.500m di quota e avere a disposizione solamente 12 giorni può già di per se essere considerato azzardato, figuriamoci quando le incognite si moltiplicano esponenzialmente essendo in Asia.
Il tempo a disposizione non ci permette di riservare neanche un giorno per eventuali imprevisti, se vogliamo completare il giro prefissato deve andare tutto bene.
Certo, qualche ora per eventuali interventi sulle biciclette è calcolata, ma non di certo tre o quattro giorni di dissenteria fermi in guest house.
Eppure, incredibilmente, nonostante la nostra propensione ad assaggiare quante più specialità locali, a vivere le abitudini del luogo e ad evitare le influenze occidentali, siamo riusciti a schivare con maestria qualsiasi problema legato a stomaco e altitudine. Siamo ufficialmente pronti.
È sera e ci fermiamo a dormire a Nurla, a circa 80km da Leh, in una piccola Guest house gestita da un giovane ragazzo che ci prepara la cena: Rice Dahl (riso e lenticchie), che da oggi in avanti mangeremo quasi quotidianamente per ben due settimane. Seduti per terra, col piatto fumante e una tazza di Chai in mano cerchiamo di pianificare le nostre prossime tappe. Siamo ambiziosi, dobbiamo viaggiare veloci per cercare di dedicare un giorno intero al Phuktal Gompa, uno dei monasteri più isolati nella regione sud-orientale dello Zanskar. Una costruzione di fango e legno all’ingresso di una grotta naturale sulla riva del fiume Lungnak. Da lontano il monastero sembra un nido d’ape gigante. Fondato nel XII° secolo, il luogo è rimasto praticamente sconosciuto sino a che l’esploratore ungherese Alexander Cosmo de Koros non lo ha visitato, nel 1826.
Vogliamo condividere una frase che ci accompagna ormai da qualche anno: “I magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella, ma videro la stella perché si erano messi in cammino.” (San Giovanni Crisostomo). E così, avendo ambiziosamente deciso di affrontare i due passi in una singola tappa da oltre 2000m di dislivello a 5000m di quota, ormai all’imbrunire, all’altezza di Lingshed veniamo accolti calorosamente da due ragazzi locali che ci invitano nella loro tenda per cena. Persone che senza nulla hanno la capacità di darti tanto, di aprirti le porte dei loro rifugi e coinvolgerti nella loro vita: donandoti umiltà, gentilezza e generosità. Rimaniamo a lungo, seduti per terra, ad ascoltare i loro racconti per poi crollare in un sonno profondo.
Eccoci finalmente in questa magica valle, contenti di aver dedicato un’intera giornata alla visita del Phuktal Gompa, raggiunto con un bel trekking a picco sul fiume Lungnak di circa 20km a/r. Un luogo raro e incantato, che di certo non dimenticheremo presto.
Suggestive conformazioni rocciose, ruscelli d’acqua cristallina che colano verso il fondovalle disegnando venature bianche e schiumose sulla roccia rossastra, monasteri antichi arroccati sulle montagne più isolate e pascoli di Yak: questo è lo Zanskar. Ma l’attenzione viene rubata soprattutto dalla montagna sacra per i Ladaki, il Gonbo Rangjon, che maestosa si erge al termine della valle. Infatti, giunti alla base della montagna e attratti da una pianeggiante radura tra la strada e il fiume, decidiamo di montare la nostra tenda per ammirare il tramonto che oscura lentamente la pinna di squalo dal basso verso l’alto, facendo brillare, all’imbrunire, solamente la vetta a 5.320m. Una splendente luna piena che sorge alle spalle della montagna non poteva che darci la buonanotte nel luogo più speciale di tutti per gli abitanti della valle.
Dopo questa pausa super gradita, via giù verso Darcha, la Manali – Leh Highway ci aspetta. Sembra assurdo, ma tante erano le aspettative sulla nuova strada nello Zanskar, che, una volta arrivati a Darcha, come d’improvviso, il vuoto nell’anima e la stanchezza prendono il sopravvento e l’entusiasmo pian piano si sgretola.
Non è semplice, in queste condizioni affrontare i 30km di salita asfaltata che ci separano dal Baralacha La Pass a 4850m. Pensiamo: “dobbiamo trovare un modo per rendere questa agonia divertente” e in men che non si dica ci ritroviamo a bordo di un pick up Mahindra che sfreccia sui tornanti della salita, purtroppo per troppo poco. Scendiamo e pedaliamo altri 10km, poi, le bici nel cassone di grande camion insieme alla sabbia e noi di nuovo a bordo, appiccicati a tre operai indiani che con una cassa JBL dei primi anni 2000 ballano musica techno indu. Anche loro si fermano presto e proseguiamo dunque la salita in sella. Ci siamo, siamo al passo e ci siamo divertiti come matti.
La discesa dal Baralacha La è inaspettatamente mozzafiato: un paesaggio sconfinato, montagne che si impongono sull’ampia valle, pascoli ricchi di pecore e yak e un suggestivo canyon attraversato da un fiume che scorre cristallino.
Giunti alla base del Nakee La Pass ci troviamo di fronte ad una magnifica location dove piazzare la tenda, ma sono solo le 16 e l’euforia data dall’aver conosciuto così tanti ladaki è alle stelle. Così, con un gesto spontaneo fermiamo un altro camionista che, con grande affetto, ci invita a salire. La salita è ripida, la strada è stretta e di camion sulla strada ce ne sono tanti, alcuni salgono, ma tanti scendono e ad ogni incrocio le mani sudano, tanto, il burrone è vicino, vicinissimo. Che Paura! Arrivati in cima a 4950m scarichiamo Bianca e Teresa e ci lanciamo giù dal passo a tutta velocità. È tardi, fa freddo e siamo affamati, tanto!
Passiamo la notte alla Dhaba a 4750m subito sotto il Nakee La. Qui la presenza di turisti è maggiore e infatti incontriamo il primo ciclista del nostro viaggio: Max, un giovane insegnante tedesco anche lui in viaggio a bordo della sua bicicletta e accompagnato dal suo furetto di peluche Eddie. Insieme a Max beviamo una quantità di Chai inspiegabile e, ovviamente, la notte ci alziamo almeno quattro volte per fare pipì.
Un’ultima fatica, la più imponente, ci separa da Leh. Dal passo a Leh saranno poi circa 100km e 2500m di pura discesa. Dobbiamo farcela, il Tanglang La Pass ci aspetta. Con i suoi 5330m è uno dei passi asfaltati più alti al mondo. 15km di salita ci separano dalla fine. Lenti, stanchi e affannati saliamo insieme dolcemente metro dopo metro. Anche questa volta, giunti in cima, c’è un gruppo di locals ad aspettarci e festeggiarci, entusiasti di incontrare due europei in sella alle loro bici in un luogo cosi remoto e lontano dalla civiltà. Dopo i doverosi saluti e le ricorrenti foto insieme, per noi è già tempo di ripartire, dobbiamo scendere di quota se vogliamo fare sonni tranquilli prima dell’ultima tappa che ci riporta a Leh. Ricorderemo per sempre la notte passata a Lato, l’ultima del nostro viaggio nell’Himalaya, per l’epica mangiata di Momos che conta almeno doppia cifra a testa!
Siamo giunti al termine del nostro viaggio alla scoperta del Ladakh: da Leh a Lingshed, poi lo Zanskar e infine il rientro sulla Manali - Leh Highway... che di Highway ha solo il nome.
Sembrano passati mesi, giorno dopo giorno in sella a pedalare con la mente libera. Un unico pensiero, quello di arricchirsi il più possibile del presente. Un presente speciale, pieno di cultura, esperienza e avventura. Dodici giorni, dieci a pedalare gli oltre 700km e 12.000m di salite durissime a corto di ossigeno, costantemente sopra i 4000m di quota.
È stato il nostro primo viaggio in India ed è stato davvero intenso, senza mezze misure, diretti nell’Himalaya insieme alle nostre Gravel: Bianca e Teresa. Finalmente siamo tornati a viaggiare in luoghi inesplorati. Come piace a noi, con tutto da scoprire.
Ma il viaggio non è finito, perché come mi insegna un mio caro amico “Un viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi.” (Massimo Casagrande).
Un grazie speciale va a Catering che instancabile si è messa in gioco per vivere un sogno condiviso. Non si è fermata davanti a nulla: nessuna salita, nessuna occasione di scoprire la cultura Ladaki, privandosi di qualsiasi comfort. Non potevo desiderare compagna di viaggio migliore.
Jullay!
Pietro Lamaro e Caterina Barbante